Siate folli per non essere normali, la nostra normalità ci sta portando alla follia. Jim Morrison
poiché tutto serve alla nostra crescita, alla nostra evoluzione, e di conseguenza all’evoluzione di tutto il Cosmo. Si può interagire con le proprie reazioni istintive però, si può comprendere e superare qualcosa che ci è accaduto e che abbiamo accusato, un’emozione che abbiamo vissuto e che ci ha provati, un’azione commessa che non ci ha soddisfatto… e così facendo, possiamo alleggerirci per volare verso lo stato di serenità e bellezza che ci aspetta al traguardo della nostra maratona. Il dolore nasce con l’Uomo e con la sua dura lotta per la sopravvivenza. Qualunque sia la natura della nostra esistenza, noi esseri umani proveniamo da qualche parte e per giungere fin qui abbiamo dovuto combattere fortemente. Se poi consideriamo anche lo scorrere del tempo, la metamorfosi della nostra specie e del suo coinvolgimento emotivo, lo sviluppo cognitivo e tutti i condizionamenti che ci hanno influenzati e direzionati, ci accorgiamo che le cause prime della nostra sofferenza sono legate alla paura ed alla mancanza di senso di appartenenza, e successivamente al senso di colpa. L’Uomo è dipendente da questi tre fattori, li combatte quotidianamente ma non può viverne senza. È biologica la loro presenza nella nostra vita e pure se è difficile da credere, la paura, il senso di alienazione ed il senso di colpa hanno una grandissima importanza per noi… e questo comporta un costante conflitto interiore. Vorremmo essere liberi e sentirci leggeri, ma non possiamo permettercelo davvero perché in fondo questa condizione ci spaventa e siccome la paura ci serve a sentire il pericolo ed a controbatterlo, non possiamo fare a meno di lei. Ergo, ci teniamo i nostri limiti. O ancora, pur sapendo che il meglio per noi sarebbe integrarci del tutto in questa vita ed in questo mondo, non riusciamo a farlo seriamente, così perdiamo il radicamento e con esso anche stabilità e sostegno… essenziali però alla realizzazione! Ed il senso di colpa… l’Uomo vive di sensi di colpa… è diventato IL senso di colpa… non solo per i condizionamenti ricevuti dalla società ma anche per una questione evolutiva. Il senso di colpa, che andrebbe in realtà osservato, compreso e lasciato andare, serve a correggerci, quindi è fondamentale! Spontaneo chiedersi “Ma allora come fare?” e la risposta potrebbe essere “Smetti di voler scappare dal dolore, lascia che si manifesti in te, osservalo, ascoltalo e comprendilo. Contattarlo gli toglie forza e permette un grande scatto evolutivo“. Dunque, l’Uomo non può evitare il dolore, gli serve per migliorarsi e per elevarsi. Però… L’Uomo, ad un certo punto del suo percorso, può decidere di cambiare paradigma e può proseguire da lì in avanti nella gioia, sì, è vero. Se prova la via della Consapevolezza trova la propulsione reattiva nella positività. Vediamo intanto cos’è che normalmente ci porta dolore: solitamente ciò che ci fa soffrire è una cosa che finisce. Più di tutto, una morte o l’interruzione di una relazione. Perché? Perché quella persona alla quale ci eravamo affezionati e che ci dava sicurezza non la vedremo più e nella separazione sentiamo di aver perso qualcosa di importante. Se una coppia si scioglie, quello dei due che è il promotore della divisione sarà sollevato, ma l’altro sarà quello che si addolora. Stessa cosa nel caso di una dipartita, peggio ancora se improvvisa; chi resta proverà sofferenza. È sempre colui che viene lasciato a patire. Perché si sente solo e perso, mancante di un punto di riferimento, di una fonte d’amore o di una persona da amare. Si può sentire abbandonato. Le reazioni emotive possono essere tante, di solito chi rimane inizia a pensare a tutto ciò che ha fatto e che avrebbe ancora potuto fare insieme alla persona che non c’è più o magari si sente in colpa perché ha mancato di manifestare i suoi sentimenti finché quella persona era ancora in vita. Rimorsi, rimpianti, solitudine… È legittimo provare sofferenza ovviamente ed è giusto lasciar scorrere le emozioni dentro di noi, anzi doveroso, ma bisognerebbe cercare di farlo con giustizia, senza cadere poi nel vittimismo o nel masochismo, che fanno più male che bene. Dopo essersi concessi l’emotività iniziale ci si può guardare dentro e chiedersi “Cos’è che mi fa davvero soffrire e PERCHÉ?” e sviscerare la risposta puntando al cuore dello stato d’animo. Talvolta in un vissuto di dolore in realtà si nasconde il senso di colpa e non la sincera tristezza che è benefico provare quando si perde qualcuno (allora si andrà ad analizzare qual senso di colpa e si accoglieranno le sue indicazioni per correggere le proprie relazioni affettive, per poi lasciarlo andare e cambiare stato d’animo). Il “programma di dolore” è pesante, lo sentite? Grava sul cuore dare così tanta attenzione alla sofferenza, inoltre, in un secondo tempo, entrano in gioco le ripercussioni sul fisico di tutte quelle emozioni di tristezza ed amarezza. Stare male, più del dovuto, ci fa male. E perché invece non dare altrettanta forza all’aspetto gioioso delle cose? Perché guardare sempre il lato negativo? Perché invece non preferire l’aspetto positivo, che ci dà entusiasmo, energia e benessere? Per il senso di colpa che la società ci ha infilato nelle vene e con il quale ci ha portati ad essere automi spaventati e deprivati di personalità e dignità. E vi sembra bello? Vi sembra giusto? Vi piace? Provate a leggere la frase successiva ed ascoltatevi, sentite il vostro stato d’animo: “Salve, mi chiamo Marco, ho 54 anni, sono solo e vivo in un piccolo appartamento nella periferia di Milano. Lavoro in fabbrica e la mattina mi sveglio prima dell’alba, quando fuori è ancora buio. Ogni giorno, uscendo di casa penso a tutti quelli che ancora dormono e si godono il calore delle coperte, mentre io sono qui fuori al freddo e guido per andare alla mia postazione di controllo numerico, dove per ore e ore vedrò solo lamiere e sentirò solo rumore metallico. Sono stufo ma non posso cambiare vita ormai. Sogno di scappare via e ripartire da capo”. Vi ha dato energia questa narrazione? Ora leggete questa: “Salve, mi chiamo Franco, ho 44 anni e faccio il fotografo, il lavoro che ho sempre desiderato fare fin da bambino. Mi piace la vita e mi piace fotografarla e celebrarla. Amo la libertà e questo lavoro mi permette di autogestire il mio tempo. Quando penso a cos’altro vorrei fare non mi viene in mente niente perché questo mi fa già felice. Se poi penso al mio bimbo di 3 anni ed alla fortuna che ho di poter trascorrere gran parte della mia giornata con lui, allora sono proprio soddisfatto”. Come vi ha fatto sentire quest’ultima? La differenza la fa l’energia che la narrazione emana. Non lo dico io che la positività fa bene, lo dice la vostra pancia quando la sente e vi rimanda il suo gradimento. Quando stiamo con persone pesanti che ci parlano sempre di cose tristi o ci fanno l’elenco dei loro malesseri, il nostro istinto sarebbe quello di allontanarci, ammettiamolo. Quando invece siamo in compagnia di qualcuno che ci trasmette serenità e allegria, vorremmo che il tempo non finisse mai. È biologico, il nostro corpo e la nostra psiche amano il benessere! E diciamocelo, le persone vittimiste che si lamentano sempre e danno la responsabilità delle loro sofferenze agli altri, sono loro che allontanano la gioia dalla loro vita. La responsabilità è sempre nostra, tutto nasce da noi, e come diceva Buddha tutto finisce anche in noi, quando VOGLIAMO cambiare le cose siamo in grado di farlo. E dovremmo farlo infatti! Il punto quindi non è il dolore, cari signori, ma il modo in cui noi lo viviamo. È ora di cambiare prospettiva, di uscire dal programma di dolore. È ora di passare al livello successivo: il “programma di gioia“! Non è difficile, bisogna solo VOLERLO.
Anzitutto voglio chiarire il fatto che non c’è realmente bisogno di liberarsi di qualcosa